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Gli Editoriali di Memories #1 The Long View

Abbiamo letto per voi il libro “The long view: Why we need to transform how the world sees time” di Richard Fisher. Per pura coincidenza uno degli esempi scelti nel libro è quello delle aziende storiche, e ci porta a un concetto che a Promemoria conosciamo da tempo: le aziende con una lunga storia sono naturalmente destinate a durare nel tempo. Ma come funziona?

L’archivio: uno specchietto retrovisore per guardare avanti

Abbiamo letto per voi il libro The long view: Why we need to transform how the world sees time di Richard Fisher. Si tratta di un autore che seguivamo da un po’ per il suo lavoro alla The Long Now Foundation, una fondazione no-profit dedicata a ristrutturare la nostra percezione del tempo con l’obiettivo di fomentare una visione a lungo termine.
Dal sottotitolo si intuisce subito come il subdolo obiettivo di Fisher sia quello di provare a salvare l’umanità. Ma noi non saremo così ingenui da credere che l’umanità possa o meriti di essere salvata, per cui manipoleremo i principali concetti del libro, li decontestualizzeremo, li riformuleremo perseguendo un obiettivo ben più nobile: avere a che fare con archivi, business, memoria e alla fine capire qualcosa in più su di noi.

Se non fai un archivio muori

Richard Fisher comincia dal passato. Perché, ovviamente, il modo migliore per scoprire come sopravvivere è imitare le strategie di chi è stato in grado di costruirsi un “futuro lungo”. Per pura coincidenza uno degli esempi scelti nel libro è quello delle aziende storiche. L’esempio in questione ci porta a un concetto che a Promemoria conosciamo da tempo: le aziende con una lunga storia sono naturalmente destinate a durare nel tempo.
Ma come funziona?
Il punto è che per “le cose” non va come con le persone, almeno in termini di misurazione della longevità. Per le persone l’aspettativa di vita si riduce con il passare degli anni; ma per le “cose” il tempo sembra scorrere al contrario: se incontrate sulla vostra strada una “cosa anziana” è probabile che quella “cosa” durerà ancora a lungo [1]. 
Questa affermazione è un po’ controintuitiva, ma ora la spiegheremo per bene. 
Se ci pensate è piuttosto raro imbattersi in qualcosa che sia proprio all’inizio o alla fine del suo ciclo di vita. È molto più probabile che la si incontri in un qualsiasi punto nel mezzo. Per questo possiamo tirare giù una sorta di legge: l’età di “una cosa” è un attributo che può predire la sua durata nel tempo
Se proviamo con le aziende, notiamo subito che il tasso di mortalità di una start-up è molto più alto di quello di un’azienda storica. Ed ecco qui la legge: se volete sapere quanto a lungo un’azienda è destinata a durare nel tempo, basta chiedere la data di fondazione. Il trucco è questo: investire sulla propria storia.
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Storie di aziende lunghe

Gli storici sostengono che la macchina che ha guidato la rivoluzione industriale non sia stato il motore a vapore, ma l’orologio, perché l’orologio ha il potere di sincronizzare le persone.

The long view ripercorre le vicende di alcune delle aziende più longeve della storia. L’attenzione cade sul Giappone: un paese che vanta più di 33.000 aziende storiche note con il nome di shinise (antiche botteghe). Tra tutti i motivi che potrebbero giustificare la longevità delle industrie giapponesi, il più sorprendente viene attribuito alla pratica di costruire aziende familiari su base adottiva. In occidente un’azienda può essere familiare o manageriale, mentre in Giappone esiste una terza via, quella di adottare all’interno della famiglia di origine coloro che saranno destinati a guidare l’azienda (in Giappone il 90% delle adozioni riguarda gli adulti, non i bambini). E sembra proprio che sia la pratica dell’adozione a innescare la visione a lungo termine necessaria a condurre un’entità commerciale attraverso le insidie del tempo. 

Il Presentismo

Qui arriva il problema.

Una delle tesi del libro è che la maggior parte delle aziende muoia prima di avere realizzato il suo pieno potenziale.
Fisher a questo proposito cita una frase di Arie de Geus, ex-manager di Shell:

Nessuna specie vivente soffre di una tale discrepanza tra la propria aspettativa di vita e la durata media che effettivamente realizza. […] Se le guardiamo alla luce di quello che potrebbero essere, la maggior parte delle delle società commerciali sono underachievers (offrono un rendimento inferiore alle aspettative, NdT). Esistono in una fase iniziale dell’evoluzione; sviluppano e sfruttano solo una piccola frazione del loro potenziale.

La colpa è da imputarsi a una patologia temporale nota col nome di “presentismo”. Un concetto introdotto da François Hartog nel libro Régimes d’historicité. Présentisme et expériences du temps
Il presentismo è quella percezione del tempo senza la quale un archivio avrebbe un valore di mercato superiore a una grande corporation, per cui gli esseri umani sono iper concentrati sull’immediato, e non danno sufficiente valore al passato e al futuro. 
Nelle aziende il presentismo si manifesta attraverso due fattori strettamente correlati:
  • il quarterly reporting
  • la tirannia degli obiettivi
La suddivisione trimestrale dell’operatività aziendale provoca l’obbligo di raggiungere obiettivi a brevissimo termine. Questi, a loro volta, provocano strategie tossiche sul lungo periodo, per esempio la riduzione dell’investimento nella ricerca e sviluppo, la riduzione delle assunzioni, delle registrazioni di brevetto, delle spese di comunicazione. Tutte decisioni con una prospettiva a breve termine, con l’esito di accorciare il futuro di una società. 

Come diventare giapponesi

Quindi noi occidentali siamo spacciati? Probabilmente. Ma volendo isolare gli elementi comuni a quelle che una recente ricerca definisce deep-time organizations [4], potremmo dire che c’è un fattore culturale alla base della longevità aziendale. 
Ad esempio la presenza di donne all’interno del consiglio direttivo sembra favorire una visione a lungo termine [5], così come la sensibilità verso il mondo circostante, la capacità di “ignorare il rumore” generato dal brevetermismo e dalla tirannia dei key performance indicators (che tendono a trasformare gli obiettivi da raggiungere nell’unità di misura con cui misuriamo il successo). 
L’idea che vorremmo nutrire parla della necessità di sacrificare una parte del proprio successo trimestrale in favore di un successo, per così dire, epocale. Forse meno misurabile, meno visualizzabile, più difficilmente pensabile, ma sicuramente più grande in termini quantitativi, perché è dato da un accumulo che genera valore dal valore.

Storia dell’uomo senza futuro

Tra i tanti casi di studio evocati dal libro, c’è una storia che fa proprio al caso nostro. È quella Kent Cochrane, un signore canadese che in seguito a un incidente motociclistico ha sofferto di una particolare forma di amnesia. Cochrane era perfettamente in grado di ricordare nomi e fatti (memoria semantica) ma aveva perduto la capacità di richiamare alla mente eventi del proprio passato (memoria episodica). La cosa sorprendente che i suoi medici scoprirono è che la perdita della memoria episodica era direttamente correlata alla sua capacità di immaginare il futuro: non riusciva a prevedere o a immaginare nulla di quello che sarebbe potuto accadergli perché nella memoria episodica risiede la facoltà umana di viaggiare mentalmente nel tempo. 
Pochi giorni fa è mancato Daniel Kahneman, l’autore del bestseller Pensieri lenti e veloci, il quale sosteneva che buona parte dei nostri bias cognitivi sono dati da una fondamentale incapacità della nostra mente di processare correttamente il tempo.
Quello che possiamo fare noi, come lavoratori della memoria, è provare a forzare questo limite della mente, cercare di instillare nelle aziende il senso del tempo, usare l’archivio per collocare la visione di un’azienda all’interno di un orizzonte temporale più ampio. 
Parafrasando il nostro motto, l’archivio può diventare lo specchio che riflette l’immagine del passato nella visione del futuro.

Stefano Trinchero
Chief Data Scientist di Promemoria Group

Note a piè di post

[1] Non è la prima volta che ci imbattiamo nel concetto che le cose anziane sono destinate a durare a lungo. Lo chiamano “Il principio di Copernico” e l’abbiamo trovato in un paio di libri prima di questo (https://www.illibraio.it/libri/quando-einstein-passeggiava-con-godel-viaggio-ai-confini-del-pensiero-9788804711063/ e https://www.ilsaggiatore.com/libro/antifragile)
[2] Per approfondire il pensiero di Arie De Geus si legga “The Living Company: A Recipe for Success in the New Economy”, https://www.ariedegeus.com/usr/library/documents/main/washingtonquarterly.pdf
[3]  La ricerca del Credit Suisse dovrebbe essere questa: https://research-doc.credit-suisse.com/docView?language=ENG&format=PDF&sourceid=csplusresearchcp&document_id=807295090&serialid=mc%2F0wjbkHHC7rTGeMypjJt0Zvoct33RuQy8GvNTepgo%3D&cspId=null
[4] “Deep-time organizations: Learning institutional longevity from history”,  https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/2053019619886670
[5] Su gender balance nella composizione dei consigli aziendali si veda “The Long-term Habits of a Highly Effective Corporate Board”, https://corpgov.law.harvard.edu/2019/04/19/the-long-term-habits-of-a-highly-effective-corporate-board/
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